Avete mai ascoltato la voce della Terra?
Ne avete mai avvertito i lunghi sospiri, i flebili sussurri, i profondi silenzi?
O colto quel suo alitare fresco come un’eco ai viscerali primordi dei sensi?
Se non c’è malia degli occhi nella perfezione di un tramonto se non gocce di quintessenza svaporate in toni di luce, non è certo la suggestione di un momento questo mio sentire.
Ce n’è forse nel canto del mare?
Semmai stupore dell’animo, capace di portarti al centro dell’universo e di farti scoprire allo stesso tempo di esserne solo una delle tante creature.
Un po’ quello che succede all’infante, quando piano piano acquista dimensione di sé, ma sempre si mantiene proteso verso la figura della madre.
La mia la chiamo Australia. Non per i natali né per le radici, ma perché, a meno di un anno di distanza dall’ultimo viaggio nel Down Under, è là che mi rivoglio.
Là, dove forse non è una combinazione che la Scienza riconosca ai suoi stromatoliti l’inizio della Vita ed io vi abbia trovato radicata l’essenza della mia.
Là, a calpestare terra bruciata dal sole, la stessa battuta da molte specie animali seguendo solo i ritmi biologici e le stagioni, come canguri, koala, echidna, varani, tutti esseri che non hanno eguali altrove.
Là, dove il mondo sommerso ospita la più grande barriera corallina esistente e si contano infinite varietà di pesci e animali marini.
Là, dove i normali segni lasciati dall’evoluzione ne hanno scalfito ben poca parte e ancora adesso in alcuni posti si ha la netta sensazione di trovarsi alle origini del creato o in un universo a sé stante.
Già mi rivedo seduta sulle pietre rossastre di un ammasso roccioso dello stone country australiano, circondata da alberi della gomma e spinifex a perdita d’occhio, l’orizzonte che si riveste di luce per accogliere il sole tra le sue braccia, mentre gli ultimi bagliori si riflettono argentei su un billabong d’acqua stagnante…
Ed è in quei momenti di totale e assoluta armonia di profumi e colori che da lontano fa la sua comparsa il timbro di un didgeridoo, cupo, arcano, fervido come le comunità aborigene che dalla notte dei tempi lo suonano, peregrinando ancora oggi per le cosiddette “Vie dei Canti” che altro non sono che il percorso degli Antenati sulla strada della creazione.
Non si può rimanere indifferenti all’impronta di un popolo la cui eredità si consuma oggi nell’attenzione per la natura nelle sue svariate forme, nella deferenza per le lunghe distanze e per chi le compie, nel rispetto della vita in senso più assoluto, forse anche dovuto al sacrosanto timore reverenziale che la presenza di squali, delle mortali meduse cubo, delle specie più pericolose al mondo di serpenti e ragni non può che suscitare.
Qui l’ambiente ci ricorda ogni giorno che con lui non si può scherzare; come non si può prendere con leggerezza il percorrerne il suo deserto, il nullarbor, o stare con i piedi a mollo in acque salmastre abitate da coccodrilli.
Ma in cambio regala ogni giorno spettacoli sorprendenti e soprattutto il sollievo di una ritrovata sana dimensione umana.
Sì, per questo e molto altro torno in Australia.
Per poter sorvolarne ancora dall’alto forme e colori in cima a qualche canyon in mezzo al nulla.
Per quel cielo di un altro blu, uno sconfinato celeste abbraccio alle creature che la popolano.
Per quell’aria tersa quando finiscono i colori e la notte diviene un contare di stelle, ancor di più se la luna non è baciata dal sole.
Perché là tutto può accadere, anche cominciare un’altra vita.
Australia nuovo mondo da scoprire
grandi spazi in mezzo al mare
paragonarla non si può
un altro blu, un altro blu....
....Io mi ritrovo quasi sperso
nell’universo
senza passato più leggero
io mi risento ancora puro
nell’universo
Ne avete mai avvertito i lunghi sospiri, i flebili sussurri, i profondi silenzi?
O colto quel suo alitare fresco come un’eco ai viscerali primordi dei sensi?
Se non c’è malia degli occhi nella perfezione di un tramonto se non gocce di quintessenza svaporate in toni di luce, non è certo la suggestione di un momento questo mio sentire.
Ce n’è forse nel canto del mare?
Semmai stupore dell’animo, capace di portarti al centro dell’universo e di farti scoprire allo stesso tempo di esserne solo una delle tante creature.
Un po’ quello che succede all’infante, quando piano piano acquista dimensione di sé, ma sempre si mantiene proteso verso la figura della madre.
La mia la chiamo Australia. Non per i natali né per le radici, ma perché, a meno di un anno di distanza dall’ultimo viaggio nel Down Under, è là che mi rivoglio.
Là, dove forse non è una combinazione che la Scienza riconosca ai suoi stromatoliti l’inizio della Vita ed io vi abbia trovato radicata l’essenza della mia.
Là, a calpestare terra bruciata dal sole, la stessa battuta da molte specie animali seguendo solo i ritmi biologici e le stagioni, come canguri, koala, echidna, varani, tutti esseri che non hanno eguali altrove.
Là, dove il mondo sommerso ospita la più grande barriera corallina esistente e si contano infinite varietà di pesci e animali marini.
Là, dove i normali segni lasciati dall’evoluzione ne hanno scalfito ben poca parte e ancora adesso in alcuni posti si ha la netta sensazione di trovarsi alle origini del creato o in un universo a sé stante.
Già mi rivedo seduta sulle pietre rossastre di un ammasso roccioso dello stone country australiano, circondata da alberi della gomma e spinifex a perdita d’occhio, l’orizzonte che si riveste di luce per accogliere il sole tra le sue braccia, mentre gli ultimi bagliori si riflettono argentei su un billabong d’acqua stagnante…
Ed è in quei momenti di totale e assoluta armonia di profumi e colori che da lontano fa la sua comparsa il timbro di un didgeridoo, cupo, arcano, fervido come le comunità aborigene che dalla notte dei tempi lo suonano, peregrinando ancora oggi per le cosiddette “Vie dei Canti” che altro non sono che il percorso degli Antenati sulla strada della creazione.
Non si può rimanere indifferenti all’impronta di un popolo la cui eredità si consuma oggi nell’attenzione per la natura nelle sue svariate forme, nella deferenza per le lunghe distanze e per chi le compie, nel rispetto della vita in senso più assoluto, forse anche dovuto al sacrosanto timore reverenziale che la presenza di squali, delle mortali meduse cubo, delle specie più pericolose al mondo di serpenti e ragni non può che suscitare.
Qui l’ambiente ci ricorda ogni giorno che con lui non si può scherzare; come non si può prendere con leggerezza il percorrerne il suo deserto, il nullarbor, o stare con i piedi a mollo in acque salmastre abitate da coccodrilli.
Ma in cambio regala ogni giorno spettacoli sorprendenti e soprattutto il sollievo di una ritrovata sana dimensione umana.
Sì, per questo e molto altro torno in Australia.
Per poter sorvolarne ancora dall’alto forme e colori in cima a qualche canyon in mezzo al nulla.
Per quel cielo di un altro blu, uno sconfinato celeste abbraccio alle creature che la popolano.
Per quell’aria tersa quando finiscono i colori e la notte diviene un contare di stelle, ancor di più se la luna non è baciata dal sole.
Perché là tutto può accadere, anche cominciare un’altra vita.
Australia nuovo mondo da scoprire
grandi spazi in mezzo al mare
paragonarla non si può
un altro blu, un altro blu....
....Io mi ritrovo quasi sperso
nell’universo
senza passato più leggero
io mi risento ancora puro
nell’universo